La coscienza di Zeno

di Italo Svevo

Il libro è suddiviso in sette capitoli tematici e una breve prefazione. Si noti che la storia non segue un filo cronologico, infatti la narrazione è spesso interrotta da flashback e anticipazioni, bensì tematico.

Protagonisti sono i temi trattati in ciascun capitolo (sottolineati da una ridondanza religiosa) mentre Zeno è solo una voce narrante.

Prefazione - La storia si apre con una lettera del dottor S. che giustifica la pubblicazione del racconto autobiografico che segue. Esso in realtà è stato scritto da un suo paziente quando era ancora in cura presso il medico.

Preambolo - Questa volta è il protagonista che, in prima persona, racconta di come si è sottoposto ad una cura di psicoanalisi per curare la sua malattia riguardante il fumo. La prima fase terapeutica prevede un brain-storming riguardo all'infanzia del paziente, periodo di vita in cui vi è un elevato grado di probabilità di essere contagiati da qualche malattia.


Il fumo - Su consiglio del dottore, Zeno decide di iniziare un' "analisi storica" della sua propensione al fumo. Ed è così che il protagonista ricorda la sua prima sigaretta, regalatagli dall'amico Giuseppe (1970); le sigarette seguenti acquistate rubando i soldi al padre; le innumerevoli ultime sigarette che hanno costellato i falsi buoni propositi degli anni avvenire. La convinzione ed il proposito di smettere di fumare conferivano alla sigaretta un gusto migliore delle altre ma, allo stesso tempo, causavano una forte ansia a cui Zeno ricollegava i suoi fallimenti scolastici. Egli finì per convincersi di essere malato di una malattia incurabile: la "malattia dell'ultima sigaretta". Tentò, ma senza risultati, di farsi curare presso il dottor Muli facendosi rinchiudere in una clinica per una notte. Ma l'assenza di nicotina lo indusse a pensieri impropri riguardo ad un possibile tradimento della moglie (di cui non era mai stato geloso) con il medico curante, e lo spinse a scappare dalla clinica per determinare se tale dubbio era fondato o meno.

La morte di mio padre - Di un intera vita passata con il padre, Zeno, ricorda per lo più gli ultimi istanti vicini alla morte. I ricordi si focalizzano nella sera in cui Zeno, di ritorno da un incontro con un amico, rientrando a tarda ora trovò il padre ad attenderlo per cena. Inaspettatamente Zeno trovò il padre in una buona disposizione d'animo e poiché ciò gli sembrava alquanto strano, non seppe far altro che ricondurre tale bonarietà ad una eventuale malattia. Il padre venne colpito da un edema celebrale quella notte stessa e Zeno, destatosi per le grida della badante allarmata, realizzò per la prima volta l'idea di solitudine che accompagna chi rimane solo dopo la perdita di entrambi i genitori. L'arrivo del dottor Coprosich peggiorò la situazione: egli applicò le mignatte al paziente per farlo rinsavire e consigliò a Zeno di farlo stare sdraiato il più possibile. Zeno cercò di convincere il padre a rimanere sdraiato obbligandolo con la forza, ma il padre furioso si ribellò e in uno scatto di "violenza" schiaffeggiò il figlio. Poco dopo morì. Lo schiaffo del padre morente aumentò in Zeno la consapevolezza della propria inettitudine e l'odio verso i medici (in particolare il dottor Coprosich). Egli riteneva che il medico (sano) era più forte del malato, ed essendo Zeno stesso malato, egli si sentiva impotente verso scelte operate dai medici.

La storia del mio matrimonio - Alla morte del padre segue l'ostentata idea di matrimonio, ed a tale proposito segue l'incontro e l'amicizia, dettato dal destino, con il commerciante Malfenti presso il Tergesteo triestino. Egli era un uomo sano, vigoroso e dal riso facile. Zeno era malato, inetto e appena reduce dalla perdita del padre. Malfenti era padre di quattro figlie "belle e sane" i cui nomi iniziavano tutti per "a": Augusta, Ada, Alberta e Anna. Zeno, d'altro canto, era in cerca di moglie e il connubio "a" - "z" sembrava un segno del destino. A breve egli venne introdotto in casa Malfenti, dove incontrò Augusta - la strabica, Ada - la bella, Alberta - la dotta ed infine Anna - la piccola (aveva solo otto anni). Decise che avrebbe preso in moglie Ada, perché era seria ed estremamente bella, ma ella non ricambiava il suo sentimento. Zeno si confidò con Augusta nel tentativo che ella facesse da intermediaria fra i due, ma le sue intenzioni vennero fraintese dalla futura suocera: egli dedicava troppe attenzioni ad Augusta (che lo amava) e per non comprometterla avrebbe dovuto sposarla e, se tali non erano le sue intenzioni, avrebbe dovuto frequentare casa Malfenti meno assiduamente. Zeno decise di non frequentare la casa per almeno cinque giorni (interminabili) e rispettò tale proposito, con sua somma sorpresa. Durante questi giorni incontrò un amico di vecchia data: Tullio - malato di reumatismi. Dopo l'incontro anche Zeno si scoprì malato della stessa malattia e cominciò a zoppicare. Il fatidico sesto giorno Zeno accorse a casa Malfenti con il proposito ferreo di dichiarare il suo amore ad Ada. Ma il suo proposito venne meno dopo l'incontro con Guido Speier, un nuovo amico della famiglia. Il giorno avvenire Zeno e Guido vennero invitati a casa Malfenti per una serata "spiritica" dedita all'occulto e alla musica (Guido suonava il violino). Quella stessa sera Zeno trova il momento opportuno per confessare il suo amore ad Ada ma viene malamente rifiutato. Ripiega su Alberta senza successo, per poi finire col chiedere la mano di Augusta. Nemmeno venti minuti e i due sono già fidanzati con grande gioia della famiglia. L'idea di Zeno era che, se non poteva amare Ada come moglie, avrebbe potuto starle vicino come cognato.

La moglie e l'amante – Augusta , la moglie,  è la personificazione della salute. Quando Zeno la sposò non pensava che dal matrimonio e, soprattutto da sua moglie, ne sarebbe derivata una tale vitalità ed energia da fargli dimenticare, seppur per poco tempo, la sua malattia. Conoscendola aveva finito per amarla.
Tanto l’amava che maturò in lui una forma di gelosia accompagnato dalla paura/malattia di invecchiare e poi morire. Perché se fosse morto qualcun altro avrebbe preso il suo posto. L’amore però non bastò a dissuaderlo dal tradimento. A tentarlo fu Carla che, orfana del padre, era stata presa sotto l’ala protettrice di Copler il quale poi la presentò a Zeno. Ma poiché Zeno era un inetto e tutti i suoi buoni propositi si rivelavano dei fallimenti, anche l’intenzione di non compromettere Carla e se stesso con una relazione rischiosa ebbe la stessa fine. A dolergli maggiormente fu il tradimento che tale relazione rappresentava per Augusta, che tanto amava, ma di un amore diverso. In aggiunta, egli non era riuscito a far intendere a Carla il forte sentimento che lo legava alla moglie e di ciò incolpava l’amante, alla quale riservava sempre un trattamento rude e quasi meschino.
Copler era un amico di famiglia e Zeno temeva che egli potesse in qualche modo far intendere ad Augusta il suo tradimento. Per i primi giorni ciò non avvenne ma contribuì a tenere a freno Zeno. Ma con la morte del Copler ogni impedimento venne meno. Zeno e Carla si frequentarono per molto tempo e il loro amore fu alquanto burrascoso. Poiché Carla insisteva di voler incontrare la moglie di Zeno egli, per compiacerla, le indicò il giorno e il luogo dove sarebbe apparsa Ada. Voleva che Carla pensasse che sua moglie fosse una donna bellissima. Ma la reazione fu totalmente contraria: Carla rimase così colpita dalla bellezza di Ada che decise di non tradire più quella donna, perciò chiese a Zeno di non venirla più a trovare. Zeno raccolse la proposta convinto che ella ci avrebbe ripensato. Dovette ricredersi l'indomani, quando Carla gli comunicò che intendeva sposare il suo maestro di canto e che la loro relazione era definitivamente conclusa. Per Zeno fu una grossa perdita. Vagò per giorni frequentando diverse donne nel tentativo di colmare il vuoto di Carla, ma senza successo.

Storia di un'associazione commerciale – In seguito all’invito di Guido, Zeno decide di avviare un attività insieme all’amico. Il suo ruolo nella nuova “casa commerciale” è quello di gestire la contabilità e di assistere Guido che era pratico di teoria ma privo di ogni esperienza.
Il nuovo ufficio constava di tre stanze: la contabilità (piccola, buia e priva di ogni comfort); la cassa ed infine la direzione. In seguito vennero assunti dei dipendenti: il primo fu Luciano. Su richiesta di Zeno, Guido cercò anche uno stenografo ma, contrariamente ad ogni aspettativa, si fece avanti una donna: Carmen. Di stenografia non sapeva nulla, cosi come neanche di contabilità ma era dotata di una bellezza accattivante e venne assunta. Le giornate all’ufficio trascorrevano tranquille: Guido si districava tra moglie, affari ed amante e Zeno faceva altrettanto con Augusta, la contabilità e Carla. Ma quando Zeno venne lasciato da Carla non si fece vivo in ufficio per almeno un mese. La sua assenza causò in parte l’incidente del solfato di rame, per cui essi si trovarono 6 tonnellate di solfato di rame da immagazzinare in un magazzino che non avevano.
Nello stesso periodo Ada diede alla luce di gemelli; in seguito venne colpita dal Morbus Basedowii e dovette recarsi a Bologna per ricevere le giuste cure. Guido nel frattempo dedicò sempre più tempo all’amante e meno alla famiglia suscitando in Ada una irreprensibile gelosia. Egli tuttavia non voleva rinunciare all’affetto della moglie e decise di tentare un finto suicidio per impietosirla. Poco dopo Guido necessitò di altro denaro viste le grosse perdite dell’azienda ma Ada si rifiutò di concederglielo perché quel denaro era destinato ai figli. Guido allora provò ancora con l’idea del suicidio ma questa volta, a causa di aventi intrinsechi (il dottore che tardò; il sospetto iniziale di Ada; l’incompetenza della badante …), morì per davvero. Solo Zeno venne a sapere che egli non aveva avuta veramente intenzione di morire ma decise di tenerlo segreto. In seguito, nell’intento di salvare il patrimonio di Guido, Zeno non si presentò al suo funerale finendo per essere “odiato” da Ada che gli rimproverava di non aver sufficientemente suo marito defunto.

Psicoanalisi – Zeno ha capito che la cura propinatagli dal dottor S. non è di nessuna utilità. Scrive le sue ultime memorie per compiacere il medico e per intrattenersi in questo periodo di solitudine. In Italia infatti è scoppiata la guerra e la famiglia di Zeno si è spinta nell’entro terra (Trieste è terra di confine) per motivi di sicurezza. La cura del dottor ha prodotto risultati inaspettati: Zeno è sano e la sua malattia è l’amore provato per la madre (non il solito amore che lega madre e figlio) e il conseguente odio per il padre, che fra loro s’intrometteva. Zeno non è convinto di ciò ma per compiacere il dottore decide di inventarsi delle immagini del suo passato che possano soddisfare la tesi del dottore. È così che ricorda di quando andava a scuola mentre suo fratello, più piccolo, rimaneva a casa; di quando veniva sgridato dalla fantesca Catina o di quando sua madre lo proteggeva dalle punizioni inferrategli dal padre. Si ricordò anche di quel sogno dove desiderava ardentemente di possedere una donna che rassomigliava alla madre. Vista l’inutilità della terapia, Zeno l’abbandona, e da allora comincia a sentirsi veramente sano. La cura era stata la sua malattia ed ora era guarito. Ha anche smesso di fumare.
Zeno è consapevole che la sua malattia è immaginaria e si chiama “vita”. Ogni animale vive nel modo che più conviene al suo salutare organismo e perciò essi sono sani. Ma l’uomo vive inventando ordigni, “buoni” per chi li inventa e “distruttivi” per chi li usa. Per questo motivo l’uomo non sarà mai sano perché prima di soddisfare il suo organismo pensa al suo ego. Forse, pensa Zeno, in un futuro arriverà un ordigno che distruggerà ciò che l’uomo ha creato e lo porterà al livello delle bestie, facendolo diventare sano.


Zeno, nel suo ultimo capitolo, descrive anticipando di qualche anno la grande distruzione del Giappone causata dalla bomba atomica. Ma contrariamente a quanto egli pensava, gli uomini non sono guariti.

Citazioni

Pag. 59 - "Altro che ricordare la mia infanzia! Io non trovo neppure la via di avvisare te [neonato], che vivi ora la tua, dell'importanza di ricordarla a vantaggio della tua intelligenza e della tua salute."
Pag. 61 - "A mio onore posso dire che bastò quel riso rivolto alla mia innocenza quand'essa non esisteva più, per impedirmi per sempre di rubare."
Pag. 65 - "Penso che la sigaretta abbia un gusto più intenso quand'è l'ultima."
Pag. 66 - "La malattia è una convinzione ed io nacqui con quella convinzione."
Pag. 69 - "Ne ho 57 degli anni e sono sicuro che se non cesso di fumare o che la psico-analisi non mi guarisca, la mia ultima occhiata dal mio letto di morte sarà l'espressione del mio desiderio per la mia infermiera, se questa non sarà mia moglie e se mia moglie avrà permesso che sia bella!"
***
Pag. 84 - "Invece la morte di mio padre fu una vera, grande catastrofe. [..] M'accorsi per la prima volta che la parte più importante e decisiva della mia vita giacevan dietro di me, irrimediabilmente. [...] Lui morto non c'era più una dimane ove collocare il proposito."
Pag. 90 - "Mio padre si levò subito dal sofà su cui giaceva e m'accolse con una grande gioia che non seppe commovermi perché vi scorsi prima di tutto l'espressione di un rimprovero."
Pag. 91 - "[...] un paio di volte ch'io lo guardai negli occhi, egli stornò il suo sguardo dal mio. Si dice che ciò è un segno di falsità, mentre io ora so ch'è un segno di malattia. L'animale malato non lascia guardare nei pertugi pei quali si potrebbe scorgere la malattia, la debolezza."
Pag. 96 - "Il mio contegno virile sparve subito. Mio padre, a quell'ora, era più vicino alla morte che a me, perché il mio grido non lo raggiungeva più. [...] Le parole egli non poteva sentirle. Come avrei fatto a fargli sapere che l'amavo tanto?"
Pag. 110 - "Con uno sforzo supremo arrivò a mettersi in piedi, alzò la mano alto alto, come se avesse saputo ch'egli non poteva comunicarle altra forza che quella del suo peso e la lasciò cadere sulla mia guancia. Poi scivolò sul letto e di là sul pavimento. Morto!"
***
Pag. 113 - "Infatti si vive poi uno accanto all'altro, immutati, salvo che per una nuova antipatia per chi è tanto dissimile da noi o per un'invidia per chi a noi è superiore".
Pag. 114 - Teoria di Malfenti - "Non occorre saper lavorare, ma chi non sa far lavorare gli altri perisce; non c'è che un grande rimorso, quello di non aver saputo fare il proprio interesse; in affari la teoria è utilissima, ma è adoperabile solo quando l'affare è stato liquidato"
Pag. 116 - "Vedevo nella mia disgrazia l'esatta applicazione dei suoi principi ch'egli giammai m'aveva spiegati tanto bene."
Pag. 121 - "Giovanni m'invitò a casa sua [...]. Quella prima visita la ricordo come se l'avessi fatta ieri. [...] Ancora adesso sto ammirando tanta cecità che allora mi pareva chiaroveggenza. Correvo dietro alla salute, alla legittimità."
Pag. 125 - "Quel colpo di fulmine, però, fu sostituito dalla convinzione ch'ebbi immediatamente che quella donna (Ada) fosse quella di cui abbisognavo e che doveva addurmi alla salute morale e fisici per la santa monogamia."
Pag. 132 - "In realtà io nella mia vita corsi dietro a molte donne e molte di esse si lasciarono raggiungere. Nel sogno le raggiunsi tutte."
Pag. 153 - "Da molti anni io mi consideravo malato, ma di una malattia che faceva soffrire piuttosto gli altri che me stesso.
Pag. 155 - "E' libertà completa quella di poter fare ciò che si vuole a patto di fare anche qualche cosa che piaccia meno. La vera schiavitù è la condanna all'estensione (dal fumo).[...] Parlai con tale esagerazione dei miei mali [...], mentre Tullio andava sentendosi sempre meglio credendomi più malato di lui."
Pag. 174 - "Essa (Ada) stava per manifestare a Guido una devozione eccessiva perdonandomi perché Guido m'aveva concesso il suo perdono."
Pag. 186 - "Sentite, Augusta, volete che noi due ci sposiamo? - [...] Io sono un buon diavolo e credo che con me si possa vivere facilmente anche senza che ci sia un grande amore."
***
Pag. 207 - "Non so più se dopo o prima dell’affetto, nel mio animo si formò una speranza, la grande speranza di poter finire col somigliare ad Augusta ch’era la salute personificata.[…] Essa sapeva che tutti dovevano morire, ma ciò non toglieva che oramai ch’eravamo sposati, si sarebbe rimasti insieme, insieme, insieme. Essa dunque ignorava che quando a questo mondo ci si univa, ciò avveniva per un periodo tanto breve, breve, breve […]”
Pag. 212 - " Ma mi colse allora un’altra malattia da cui non dovevo più guarire. Una cosa da niente: la paura di invecchiare e sopra tutto la paura di morire.”
Pag. 216 - "[…] io stesso pensavo che il lavoro sarebbe stato utile per la mia salute. Si capisce che è meno malato chi ha poco tempo per esserlo.”
Pag. 223 - "Nel pensiero io tradivo sempre Augusta, e anche ora, parlando col Copler, con un fremito di desiderio, pensai a tutte le donne che per lei trascuravo.”
Pag. 242 - "Ella (Carla) non mutò di espressione in quel breve tempo: assentì alla prima malsicura promessa, assentì riconoscente alla seconda e assentì anche al mio terzo proposito, sempre sorridendo. Le donne sanno sempre quello che vogliono. Non ci furono esitazioni né per parte di Ada che mi respinse, né dell’Augusta che mi prese, e neppure da Carla, che mi lasciò fare.”
Pag. 251 - "Essa piangeva per quella solita compassione di sé stesso che tocca a chi vede compianto il proprio dolore. […] Era infatti ingiusto di obbligare allo studio quella bella fanciulla che si poteva baciare.”
Pag. 278 - "Come mitiga il proprio animo il sentimento di avere dei grossi torti da riparare! Accettavo con grato animo tutte le insolenze a patto fossero accompagnate da quell’affetto che non meritavo.”
Pag. 283 - "Anche una propria occhiata[…] è più importante di una parola perché non v’è in tutto il vocabolario una parola che sappia spogliare una donna.”
***
Pag. 323 - "Tanti a questo mondo apprendono soltanto ascoltando se stessi o almeno non sanno apprendere ascoltando gli altri.”
Pag. 325 - "E scrivo di questi due anni perché il mio attaccamento a lui [Guido] mi sembra una chiara manifestazione della mia malattia.”
Pag. 334 - "Uno dei primi effetti della bellezza femminile su di un uomo è quello di levargli l’avarizia.”
Pag. 346 - "Meglio che con Carmen non avrei potuto rimpiazzare l’amante ch’io avevo perduta […]. Un amante in due è l’amante meno compromettente. […] Divenendo l’amante di Carmen io avrei fatto il bene di Ada e non avrei danneggiato di troppo Augusta. Ambedue sarebbero state tradite molto meno che se Guido ed io avessimo avuta una donna intera per ciascuno.”
***

Note sull'autore
Aron Hector Shmitz, quinto di otto figli, nasce a Trieste il 19 dicembre 1861 da genitori ebraici. I genitori lo indirizzano ad una carriera economica e il giovane frequenta, controvoglia, l'Istituto Superiore Commerciale Revoltella a Trieste. Comincia a formare un pensiero di derivazione europeo-occidentale che lo accompagnerà, in seguito, nella sua carriera letteraria. Con il fallimento dell'impresa paterna, Ettore inizia a lavorare per la Banca Union di Vienna. Nonostante gli impegni lavorativi dedica gran parte del suo tempo libero allo studio della letteratura (appassionato di Boccaccio, Macchiavelli, Guicciardini, De Sanctis ...). Alle discriminazioni razziali subite in ambito lavorativo si accompagna lo sconforto per il susseguirsi di lutti famigliari; a ciò si aggiunge una progressiva visione negativa delle proprie capacità letterarie che lo porterà a maturare il "complesso dell'inettitudine".
Le prime opere di Ettore vengono firmate mediante pseudonimi vari e per la maggior parte sono lasciate incompiute. Solo nel 1893, con il libro intitolato "Una vita", viene alla luce lo pseudonimo Italo Svevo che, come spiegherà l'autore, doveva "affratellare la razza italiana con quella germanica". Il libro non riscosse nessun successo e passò nella totale indifferenza della critica.
Per i primi successi bisognerà aspettare l'incontro con James Joyce, avvenuto nel 1905, il quale dava lezioni di inglese alla Berlitz School di Trieste. Joyce e Svevo cominciano a discutere del proprio passato letterario e lo scrittore irlandese matura un forte interesse verso le opere di Svevo.
Con l'arrivo della psicoanalisi freudiana e la fine della guerra, Svevo terminerà "La coscienza di Zeno" che verrà pubblicato nel 1923, a spese dell'autore. Il libro si rivela un fiasco immeritato e la salute di Svevo ne risente alquanto. Aggrappandosi all'ultima speranza rimastagli, Svevo invia il testo all'amico Joyce chiedendone l'opinione. Su consiglio dell'amico Svevo spedisce delle stampe del libro ad autori francesi che lo valutano positivamente, siche il libro comincia ad acquisire una certa fama nei sobborghi parigini. Durante una visita in Francia, Montale scopre quest'autore italiano noto come "uno dei  massimi scrittori italiani" e decide, dopo aver letto alcune suo opere, di citarlo in un articolo sul giornale "Esame". Anticipando i francesi di due mesi, Montale contribuisce a portare alla luce uno dei massimi esponenti della letteratura del novecento italiano. Svevo Muore il 13 Settembre 1928 in seguito ad un grave incidente d'auto.

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